Grazie alla preveggente intuizione artistica, Marcel Proust, nella “Alla ricerca del tempo perduto”, ha anticipato un’acquisizione, poi confermata dalla neurologia, di cui si trova una piccola testimonianza in queste righe.
Mesi fa sentivo dei bambini rumoreggiare con lattine di Coca-Cola. Le loro cannucce erano immerse nel liquido color caramello. Le “belve” espiravano l’aria, soffiandola nella Coca, producendo così “maleducati borborigmi”. Infine facevano tracimare, dai rossi contenitori, liquido e bollicine sugli abiti dei presenti.
Mi stavo irritando, anche perché vedevo che i loro ebeti genitori non intervenivano, quando, all’udire quei gorgoglii, pensai a …Giambarini.
Gianni è sempre stato
peculiare. Vero Giano[i]
bifronte. Ad un tempo precursore d’idee (talvolta geniali), accettate
dagli altri solo molto tempo dopo, e contestualmente frequente interprete d’improbabili
infantilismi.
A proposito di quest’ultimi, dobbiamo partire dal latte.
Chi è nato verso la metà del ‘900 ben sa che “l’alimento vaccino” è sempre stato venduto in bottiglie di spesso vetro e di varia morfologia, caratterizzate da uno strano tappo colorato, di stagnola, che avrebbe dovuto garantire contro l’inquinamento[ii]. Verso la fine degli anni ’60 la rivoluzione dei consumi ci propose l’ultimo nato del boom economico: il “tetrapak”[iii]. Si tagliava un angolo e si versava il litro di latte oppure … si inseriva una cannuccia e si aspirava.
Forse influenzato dalla bionda e giunonica Anita Eckberg, che aveva cantato in un film di Fellini: “bevete più latte, il latte fa bene!”, Gianni era un fautore delle virtù del candido alimento. “Ille” ne consumava quantitativi industriali e noi non sospettavamo certo le possibili interpretazioni freudiane per spiegare la sua “coazione a ripetere”. Da quando c’era il nuovo morbido packaging, Lui era solito presentarsi in classe con due o tre litri, acquistati nella latteria in via Troya. Si metteva all’ultimo banco, “coperto” dal compagno antistante e così iniziava la lezione contemporaneamente al suo rituale tantrico, che qui è riferito per “sommi capi”.
Dotato
di rara perizia, “circoncideva” il cappuccio della confezione e vi immetteva
poi, con consumata gestualità, lo stelo. Quindi suggeva; prima lentamente, poi
con ingravescente voluttà! Contestualmente i polpastrelli delle dita, posati
con vellutata prensione sulla liscia superficie del tetrapak, palpeggiavano
lentamente il tutto. Il volto, nel frattempo, si allungava “in lirico
abbandono”.
Dicono che i riti, come pure il pensiero magico, siano caratterizzati da un intrinseco tradizionalismo. La formula di un incantesimo non è migliorabile; esprime un “sapere” definitivo e immutabile. Per Gianni era così. In quella “liturgia del latte” c’era anche un ripetitivo linguaggio dei gesti. Insomma, quel bianco liquido e la minuziosa coreografia rappresentavano un universo simbolico, palese solo a chi era a conoscenza del codice di decifrazione[iv].
“L’onanismo caseario” di Gianni continuò, uguale a se stesso, per lungo tempo.
Un tacito “pactum sceleris” ci coinvolgeva: noi assistevamo divertiti.
Finché avvenne…
Colloco l’episodio nel 1967, durante
una lezione di francese. Stante il cronico “casino” che si creava in
quell’ora, il tutto si disvelò a causa della complicità di un improvviso,
quanto inatteso e del tutto imprevedibile, attimo di silenzio della vociante
scolaresca. Gianni si ritrovò, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto
reintegrare il serbatoio con il latte di scorta, a suggere compulsivamente le
ultime gocce del “terzo litro”. Per intenderci, pensate a quell’“attimo
fuggente” in cui si aspira liquido ed aria commisti e il cartone vuoto si comporta
come cassa di risonanza. Gli esperti di fisica sapranno dettagliare meglio. Io
invece ho cercato invano un’onomatopea per descrivere <<l’inaudito>>,
simile ad uno sciacquone di scarico, ma non ho trovato di meglio che suggerire
al lettore di atteggiare le labbra in aspirazione pronunciando un sonoro: “hhsshhglurpppp”.
Poi calò il
silenzio.
I compagni si voltarono, gli occhi puntati sul… bevitore, la prof., con
aria interdetta e sempre scipita, urlò non so che cosa. La carnagione lattea
del buon Gianni diventò tutta del colore dei foruncoli, di cui lui era
pure buon produttore. Tralascio le conseguenze “in condotta”.
Circa la tipologia di questo “evento sonoro”, le memorie uditive non
hanno mai rimosso un precedente più aulico, anche se più catastrofico.
Gli “annalisti” lo datano nel secondo anno di liceo, durante le lezioni
del professore di storia: il Polverini.. Il protagonista, non proprio
involontario: Claudio Lodati.
Il Polverini, massiccio esemplare teutonico, esigeva invece
da noi un silenzio ieratico e le pupille ben orientate alla cattedra. Ma, si
sa, agli ultimi banchi si poteva anche giocare di palpebre… o di ventriloquo.
Il Claudio alpeggiava al penultimo banco. Ne aveva tutte
le ragioni: era lunghissimo, come i suoi piedi. Aveva appreso, pare da giochi
puberali praticati in Via delle Forze Armate, a rumoreggiare emettendo suoni
senza muover le labbra. La fonte dottrinale di tale misterico sapere però non
ci è mai stata rivelata. E’ un fatto che le spiegazioni di storia romana del
prof. erano scandite da “urletti” del nostro uomo ed i topici storici
venivano poi enfatizzati da sottolineature sonore, alquanto scurrili.
Per brevità, un esempio. Il prof. diceva: “Caio Duilio aveva vinto
la battaglia” e dal fondo proveniva un enfatico e prolungato:
Pronunciato sì sottovoce, con tono grave e quasi suadente, ma con
enfasi partecipativa e poi a lettere ben distinte. Era come una sciabolata che
s’infrangeva contro la lavagna insieme con le ultime “ooo” del
turpiloquio. Quest’ultime (le “ooo” non Claudio) continuavano poi a rimbalzare
fra i banchi di laminato plastico, risuonando con effetto eco. Già da qualche
tempo il prof. si era accorto dell’esistenza di un “evidenziatore
acustico” dei fatti storici ma, certo a causa di quelle labbra immobili
e forse di quell’occhiale di tartaruga nera che nascondeva gli occhi di Claude
(che nel frattempo sorridevano compiaciuti), non aveva elementi per inviare “avvisi
di fine garanzia”. Il volto del Lodati, consumato interprete del “pennarello
sonoro”, si atteggiava nella circostanza a maschera del teatro greco:
semplicemente immobile.
Dicono che già si preparasse a rispondere sulla domanda pirandelliana,
relativa alla “maschera e il volto”, che, non a caso, gli avrebbero
puntualmente posto all’esame di Stato.
C’è anche da rilevare poi che quel ragazzo godeva già di buona
reputazione. Con quell’“aria”, direi “quasi da ingegnere”,
sembrava proprio un bravo giovine, “timorato” e rispettoso[v],
anche se non smetteva mai di fumare.
Un giorno la spiegazione verteva su Giulio Cesare. Si arrivò al
passaggio del Rubicone: il fiume che fece veramente fluire la
peculiare capacità del nostro Claudio. Infatti, all’udire “alea jacta
est”, pare che il Lodati non abbia controllato bene il piloro.
L’improvvida incontinenza gastrica fece sì che da quella bocca uscisse
un’alluvione di attributi genitali[vi]
Piovvero gorgoglianti, spumeggianti, rumorosi e incontenibili.
Il Polverini, stupito dall’identificazione del reo ma anche soddisfatto per il suo
lavoro di “intelligence”, gridò: “Lodati allora è lei!”.
Infine dunque l’aveva colto … in flagrante oralità.
Il lungo dito indice di Claudio non era certo affogato nella Nutella, ma
le ultime vocali falliche (quelle si!) ancora gli rutilavano in bocca.
Come è facile immaginare, l’evento assurse in breve a dignità
di mito. Le risate e le citazioni della “leggenda”, in varie
riedizioni, anche apocrife, si sprecarono per anni, fin dopo l’esame di
“maturità”.
Post hoc la reputazione di Claudio fu meno candida persino del “latte”
di Gianni, ma noi gli siamo grati e non dimenticheremo mai Giulio Cesare e il guado
“sonorizzato” dello storico fiume che l’“Ingegnere” ci volle
regalare.
1.
Prima epicrisi.
E’ indubbio che l’episodio Lodati-Polverini abbia
profondamente inciso sugli animi dei presenti. Al punto tale che c’è chi[vii], ancora oggi, suole
presentare l’evento quale anamnesi clinica di paradigmatico “caso di scuola”
relativo a incontenibile (e prematura) “ejezione orale”.
2.
Seconda epicrisi.
Ogni tanto medito di offrire ad un ragazzino
una “lattina di Coca” per poi stare ad… ascoltarlo.
“Penso sia utile per
lubrificare i miei neuroni.
Lo diceva anche Marcel” [viii].
m.b.
[i] “Nomen, omen” ?!
[ii] Ancora oggi però nutro molti dubbi circa la “tenuta” della confezione.
[iii] Per chi fa finta di non ricordare, si trattava di una piramide a tre lati di cartone, plastificato all’interno, impiegato per contenere cibi liquidi. La base rappresentava il quarto lato.
[iv] Così come lo erano per noi certe strane frasi che si scrivevano su bigliettini inviati durante le mattinate o l’uso pregnante di alcune parole impiegate fra “noi giovani” con significato diverso dall’usuale.
[v] Vedasi fotografia a pag. Errore. Il segnalibro non è definito.
[vi] Lemmi di cui s’è già fatta idonea menzione.
[vii] Forse a causa di nota deformazione mentale.
[viii] Si afferma che per la nostra mente sia sufficiente un “richiamo monosensoriale” (un gusto, un frammento di visione, una piccola percezione tattile), insomma un particolare, fissato però nella memoria con lo spray delle emozioni, per evocare un universale di ricordi. Dal suono di una nota si riaccende così il concerto delle sinapsi, surgelato nel tempo. Proprio così agiva il profumo dei biscotti citati da Proust nella “Recherche”. Proprio così….