“Tu chiamale, se vuoi, emozioni” di Vittorio Battigelli

 

·        ‘64-‘69

 

In quegli anni, le cui cifre 64-69 si evidenziano per eccellenza rivoluzionaria, la sezione F del Liceo Scientifico Statale “Vittorio Veneto” di Milano è stata una esperienza la cui profondità è evidenziata dal modo con cui dopo trent’anni ci siamo ritrovati.

 

 

·        Trent’anni dopo

 

Sono arrivato titubante ad incontrare compagni dei quali, per la gran parte, non sapevo più nulla. I timori non sono più esistiti nel momento stesso in cui ci siamo visti; sciolti dalla magia del riconoscere chi, consapevolmente o inconsapevolmente, fa parte di noi. E’ per questo che partecipo volentieri a questo gioco di rimandi di memoria proposto da Maurizio. E sono, per me, soprattutto memorie del sentire frammiste a piccoli fatti, episodi che, come credo per gli altri, danno il senso, e insieme la misura, del nostro divenire. Questa mi pare l’essenza della sensazione che ho vissuto; non eravamo lì né per ascoltare né per dire quello che facciamo ma semplicemente per essere quello che siamo. Una curiosità vera di scorgere il nostro essere odierno negli occhi dell’altro.

 

·        Anni di scuola

 

Primo giorno di scuola. Una folla di ragazzini intimoriti e disorganizzati si accalca davanti a bacheche per scoprire a quale classe ognuno è stato assegnato. Attorno facce sconosciute; emerge, nella memoria quella di Vittorio (l’altro nella classe)[i]; chi ha compilato quegli elenchi ha inconsapevolmente inciso nei nostri destini.

 

Con Stefano, per un certo periodo, per la verità non lunghissimo, abbiamo frequentato Gioventù Studentesca (credo si chiamasse così quell’organizzazione di studenti cattolici); vi si discuteva molto del contrasto generazionale, trovavo conferma dei miei sensi di costrizione. La sede degli incontri era in via Statuto, un giorno durante il tragitto si mette a piovere a dirotto, eravamo senza ombrelli; Stefano convinto a consigliare: se si ammina abbastanza veloci possiamo passare tra una goccia e l’altra; una ineccepibile considerazione newtoniana.

 

Fin dal mattino, quel giorno, era strana l’atmosfera in classe. Anna viene chiamata fuori, al suo ritorno la tragedia è più respirata che detta, nudi di esperienza, caldi nei nostri nidi, impietrito (altre volte in seguito purtroppo altrove così) nel silenzio e nella fissità della compagna che trasmetteva la incommensurabilità della ferita.

 

Una corsa “campestre” non terminata nel cortile del Vittorio Veneto, lungo la fascia stretta tra la recinzione e i pini (credo fossero in realtà delle tuie), con l’aria che sembra bruciare i polmoni. E i lunghi anelli di allenamento in pista con Riccardo con l’ingenua convinzione, nostra e dei nostri allenatori, di poter ottenere qualcosa di più dalle nostre gambe in corsa; sistemi di allenamento antidiluviani.

 

In ogni stagione e con ogni tempo; il percorso da casa a scuola con Maurizio e le nostre bici “Legnano” (credo si chiami fratellanza di bicicletta), poi diventate nelle nostre mani agili Lambrette, aveva, dall’inizio, quel senso del viaggio che ci ha portati, poi, a ricercare nuovi e più lunghi itinerari; fino al mitico giro d’Italia con Claudio e l’altro Vittorio (unico vespista) e che ha poi segnato, nella curiosità e nell’avventura, il mio modo di viaggiare. Forse ha anche un significato che il viaggio liceale sia iniziato e si sia concluso, almeno nella memoria con il volto pacifico e vispo del mio omonimo.

 

Il grembiule nero della Cecchetti sprigionava come un senso di polvere e di inutilità, così ci si trovava, alcuni di noi, la domenica mattina, in una Milano tra inverno e primavera, a farci introdurre ad una dimensione dello studio della fisica più concreto e pragmatico che mi ha confermato, pur in quei semplici esperimenti, nella convinzione dell’astrattezza (oggi direi più precisamente dell’arretratezza di modi e contenuti) delle nozioni che ci venivano proposte.

 

L’unico insegnante di cui conservo memoria in termini di stimolo creativo alla mia formazione è “il” Cavallo, insegnante incostante di Disegno e Storia dell’Arte.

 

Oggi, nella scuola, gli insegnanti si fanno in quattro per organizzare gite scolastiche in ogni dove, l’unica nostra di cui ho un vago ricordo è una gita al Vittoriale con Ruggero in visibilio nel visitare la dimora del Vate e la mia timida corte ad Anna; più vivo è il ricordo della gita autogestita in treno ad Angera con l’accompagnamento della stimolante musica della Equipe 84.

 

Con Anna strano innamoramento, l’accompagnarla a casa, il desiderio di un rapporto raccolto (che già c’era) ma qualcosa di indefinibilmente divergente: forse il reciproco non lasciarsi andare.

 

Alcuni di noi hanno ritenuto utile, per la preparazione alla maturità, ritirarci lontani dalla vita mondana per dedicarsi al rush finale. Con Massimo l’eremo era una sua casa sul lago, ricevevamo visite di altri ritirati in luoghi prossimi, forse Mau, Claudio, Ruggero; ho un ricordo come di penombre, di clima autunnale e di tanta musica: Lucio Battisti e i Gufi. Di quanto così eroicamente studiato al colloquio non mi hanno chiesto nulla.

 

Credo che i miei 36/60 della matura rispecchiassero esattamente il mio valore rispetto ai valori scolastici che la maggior parte dei nostri proff ci proponeva. Quelle nozioni non riuscivano a suscitarmi curiosità, adombrate com’erano da quell’interesse per la vita dell’uomo che è rimasto una mia caratteristica e si è poi sviluppato nello studio e nella creazione dei luoghi del vivere.

 

·        Il terremoto

 

Con Giordano, Ruggero, Maurizio, Claudio, Massimo, in modi e con intensità diverse abbiamo continuato ad esserci l’uno per l’altro, diradandosi i rapporti man mano che ognuno veniva preso dalle nuove esperienze. Fino al mio ritorno in queste terre da cui scrivo, dove regolarmente all’epoca passavo le vacanze estive presso i nonni materni e paterni, ed alle quali sono stato richiamato in modo prepotente e drammatico nel 1976 dal terremoto che ha letteralmente raso al suolo questi paesi che amavo.

 

Una sera di qualche anno fa, accesa distrattamente la TV e scorrendo i vari programmi (cosa che non faccio frequentemente perché la TV mi fa dormire) mi si presenta una faccia nota con una candida chioma. Maurizio, con fare ispirato e un poco sentenziante, intratteneva l’auditorio mediatico parlando non del sesso degli angeli, cosa dalla quale eravamo stati ammoniti di tenerci alla larga, ma dei molteplici e vari aspetti del sesso degli umani. Resto sorpreso e colpito dalla spregiudicatezza e dalla “furbizia”, televisivamente parlando, dell’approc-cio; cerco di scorgere nei suoi occhi quella luce insieme ironica ed entusiasta che conoscevo bene; non sono sicuro di esserci riuscito. Dal vivo, poi, ho perfettamente riconosciuto le impronte che ci caratterizzano. Una prova in più della falsità del mezzo; e quindi del messaggio.

 

Se solo alcuni dei nomi dell’appello mattutino sono entrati in questo mio contributo al puzzle della memoria questo si deve all’intenzione di accentuare il suo aspetto soggettivo e per mantenerne la cadenza che viene dall’interno. Restano così fuori, affollati, quei ricordi che sono meno legati ad un sentire profondo ma non meno affettuosi e cari verso gli altri compagni di quella strada breve e lunga insieme.

 

Vittorio Battigelli

 



[i] Vittorio Collodello N.d.r.